Il progresso tecnologico e la globalizzazione incidono in modo decisivo sul mercato del lavoro. Quali sono le implicazioni dell'intelligenza artificiale?
Secondo la legge di Moore – che ha preso il nome da Gordon Moore, cofondatore di Intel – la potenza di un microprocessore «raddoppia ogni 18 mesi e quadruplica quindi ogni 3 anni». In sostanza un chip dei nostri giorni è circa 70 miliardi di volte più potente di quello degli anni 70. E fra una decina d’anni sarà migliaia di miliardi di volte superiore a quello attuale e di dimensioni sempre più ridotte. Se a questo si aggiungono i progressi attraverso l'intelligenza artificiale, il riconoscimento vocale, le nanotecnologie e la robotica in generale, gli esperti si aspettano la scomparsa del 60% degli attuali posti di lavoro. Quelli più penalizzati saranno i lavori manuali e intellettuali-esecutivi che verranno assorbiti dalle macchine o trasferiti nei Paesi emergenti.
Ma sarebbe un errore concentrarsi solo sulle conseguenze negative di questa rivoluzione globale e combatterla. Si tratta di rivoluzioni cicliche non troppo diverse ad esempio da quella che ha sostituito negli anni ‘70 le centraliniste con la commutazione automatica delle telefonate, o ha fatto sparire mestieri come gli spazzacamini.
Se vent’anni fa occorrevano 60.000 operai per costruire un milione di automobili, oggi, grazie ai robot e ai nuovi sistemi organizzativi, ne bastano 20.000.
Come ha calcolato l'economista e ex presidente di Nomisma, Nicola Cacace, nel 1891, quando la popolazione italiana era meno di 40 milioni, in un anno si lavorava per un complesso di 70 miliardi di ore. Cento anni dopo, nel 1991, gli italiani erano diventati 57 milioni ma lavoravano solo 60 miliardi di ore, eppure riuscivano a produrre ben tredici volte di più. Nel 2016 gli italiani sono diventati 61 milioni, hanno lavorato 40 miliardi di ore e hanno prodotto il 59% in più, essendo il Pil salito dai 1.268 miliardi di dollari del 1991 ai 2.142 miliardi del 2016.
«Fra dieci anni – spiega il sociologo Domenico De Masi nel libro Lavoro 2025. Il futuro dell'occupazione (e della disoccupazione), ed. Marsilio, 2017 – gli abitanti del pianeta saranno 8 miliardi: un miliardo più di oggi. Nel frattempo la potenza dei microprocessori sarà diventata centinaia di miliardi di volte superiore a quella attuale, i robot avranno sostituito molti operai, le macchine digitali molti impiegati e l'intelligenza artificiale parecchi creativi. Se a questo sviluppo tecnologico si aggiunge l'avanzata via via più rapida della globalizzazione, ci si rende conto che riusciremo a produrre sempre più beni e servizi con sempre meno lavoro umano».
«Oggi – prosegue Manyika – abbiamo realizzato macchine che oltre ad aggiungere muscoli o automatizzare compiti di routine, fanno cose completamente nuove e diverse. Abbiamo a che fare con macchine che stanno effettivamente imparando a fare qualcosa, stanno scoprendo modelli, stanno scoprendo le cose stesse».
Questo grazie ai progressi compiuti dalle tecniche algoritmiche, alla quantità di potenza di calcolo dei computer (alle CPU [unità di elaborazione centrale] classiche, sono state aggiunte le GPU [unità di elaborazione grafica]); alla disponibilità di dati che le persone ogni giorno producono e che vengono “ospitati” nei grandi server. Dalla riduzione dei tassi di errore alla capacità di fare meglio le previsioni, fino alla possibilità di scoprire nuove soluzioni o intuizioni, i vantaggi per le imprese che decidono di investire in intelligenza artificiale sono difficili da ignorare. Così come è difficile contestare i benefici per gli utenti singoli: siamo diventati sempre più a nostro agio grazie alla tecnologia, sia nell'assistenza per il riconoscimento vocale che in altre tecniche utili. I vantaggi dell'intelligenza artificiale sono chiari: agli utenti, all'economia e alle imprese.
Per affrontare gli effetti e le opportunità dell'automatizzazione nel mercato del lavoro, bisogna essere capaci di rispondere ad altre domande: cosa costerà sviluppare e implementare queste nuove tecnologie? In che modo giocherà nelle dinamiche del mercato del lavoro in termini di costi relativi per far sì che le persone lo facciano? Qual è la disponibilità di persone che possono svolgere questo compito al posto di una macchina? Come garantire la qualità anche nei lavori automatizzati? Quali saranno le competenze richieste alla forza lavoro? Tutti interrogativi a cui si cercherà di dare una risposta nei prossimi anni. Intanto non mancano i segnali incoraggianti.
“Se avessi chiesto alla gente cosa voleva, mi avrebbero detto cavalli più veloci” disse Harry Ford agli scettici sul successo delle automobili. I cambiamenti e il progresso tecnologico non si possono cambiare. Si possono invece comprendere e non farsi travolgere anticipando quello che succederà.
Bisogna guardare un po’ più in là e immaginare il futuro. Cosa che può fare solo l’uomo.
La tecnologia sta anche giocando un ruolo importante nel supportare la comunicazione e il lavoro in remoto, abilitare la telemedicina, e fare prevenzione. Lo screening senza contatto, ad esempio, è fondamentale.
Secondo la legge di Moore – che ha preso il nome da Gordon Moore, cofondatore di Intel – la potenza di un microprocessore «raddoppia ogni 18 mesi e quadruplica quindi ogni 3 anni». In sostanza un chip dei nostri giorni è circa 70 miliardi di volte più potente di quello degli anni 70. E fra una decina d’anni sarà migliaia di miliardi di volte superiore a quello attuale e di dimensioni sempre più ridotte. Se a questo si aggiungono i progressi attraverso l'intelligenza artificiale, il riconoscimento vocale, le nanotecnologie e la robotica in generale, gli esperti si aspettano la scomparsa del 60% degli attuali posti di lavoro. Quelli più penalizzati saranno i lavori manuali e intellettuali-esecutivi che verranno assorbiti dalle macchine o trasferiti nei Paesi emergenti.
Ma sarebbe un errore concentrarsi solo sulle conseguenze negative di questa rivoluzione globale e combatterla. Si tratta di rivoluzioni cicliche non troppo diverse ad esempio da quella che ha sostituito negli anni ‘70 le centraliniste con la commutazione automatica delle telefonate, o ha fatto sparire mestieri come gli spazzacamini.
Nuovi spazi per il lavoro
Oggi il lavoro rappresenta in tutto il mondo uno dei problemi cruciali perché il suo mercato è in crescente squilibrio. Le statistiche sull’occupazione e la disoccupazione variano di giorno in giorno e da fonte a fonte, e i rimedi cui ricorrono i diversi governi non sempre risultano efficaci. È opportuno quindi soffermarsi un attimo sugli effetti dell'automazione sulle professioni e sui numeri legati al progresso tecnologico.Se vent’anni fa occorrevano 60.000 operai per costruire un milione di automobili, oggi, grazie ai robot e ai nuovi sistemi organizzativi, ne bastano 20.000.
Come ha calcolato l'economista e ex presidente di Nomisma, Nicola Cacace, nel 1891, quando la popolazione italiana era meno di 40 milioni, in un anno si lavorava per un complesso di 70 miliardi di ore. Cento anni dopo, nel 1991, gli italiani erano diventati 57 milioni ma lavoravano solo 60 miliardi di ore, eppure riuscivano a produrre ben tredici volte di più. Nel 2016 gli italiani sono diventati 61 milioni, hanno lavorato 40 miliardi di ore e hanno prodotto il 59% in più, essendo il Pil salito dai 1.268 miliardi di dollari del 1991 ai 2.142 miliardi del 2016.
«Fra dieci anni – spiega il sociologo Domenico De Masi nel libro Lavoro 2025. Il futuro dell'occupazione (e della disoccupazione), ed. Marsilio, 2017 – gli abitanti del pianeta saranno 8 miliardi: un miliardo più di oggi. Nel frattempo la potenza dei microprocessori sarà diventata centinaia di miliardi di volte superiore a quella attuale, i robot avranno sostituito molti operai, le macchine digitali molti impiegati e l'intelligenza artificiale parecchi creativi. Se a questo sviluppo tecnologico si aggiunge l'avanzata via via più rapida della globalizzazione, ci si rende conto che riusciremo a produrre sempre più beni e servizi con sempre meno lavoro umano».
Macchine che pensano cose
Il problema dell'automazione e l'idea che stia portando via lavoro, non è affatto nuovo. Ma il dibattito, come ha fatto notare James Manyika, senior partner di McKinsey & Company, durante una conversazione organizzata da McKinsey Global Institute (MGI), si è surriscaldato negli ultimi tempi probabilmente per un paio di macro motivi. «Negli ultimi anni, abbiamo assistito a progressi abbastanza straordinari raggiunti con l'intelligenza artificiale, i sistemi autonomi e la robotica. Negli ultimi 5 anni abbiamo fatto più progressi in alcuni sistemi di quanto non abbiamo visto negli ultimi 50 anni». In passato “automatizzare” un processo produttivo significava fondamentalmente aggiungere un muscolo o un braccio meccanico a ciò che le persone già facevano.«Oggi – prosegue Manyika – abbiamo realizzato macchine che oltre ad aggiungere muscoli o automatizzare compiti di routine, fanno cose completamente nuove e diverse. Abbiamo a che fare con macchine che stanno effettivamente imparando a fare qualcosa, stanno scoprendo modelli, stanno scoprendo le cose stesse».
Questo grazie ai progressi compiuti dalle tecniche algoritmiche, alla quantità di potenza di calcolo dei computer (alle CPU [unità di elaborazione centrale] classiche, sono state aggiunte le GPU [unità di elaborazione grafica]); alla disponibilità di dati che le persone ogni giorno producono e che vengono “ospitati” nei grandi server. Dalla riduzione dei tassi di errore alla capacità di fare meglio le previsioni, fino alla possibilità di scoprire nuove soluzioni o intuizioni, i vantaggi per le imprese che decidono di investire in intelligenza artificiale sono difficili da ignorare. Così come è difficile contestare i benefici per gli utenti singoli: siamo diventati sempre più a nostro agio grazie alla tecnologia, sia nell'assistenza per il riconoscimento vocale che in altre tecniche utili. I vantaggi dell'intelligenza artificiale sono chiari: agli utenti, all'economia e alle imprese.
Per affrontare gli effetti e le opportunità dell'automatizzazione nel mercato del lavoro, bisogna essere capaci di rispondere ad altre domande: cosa costerà sviluppare e implementare queste nuove tecnologie? In che modo giocherà nelle dinamiche del mercato del lavoro in termini di costi relativi per far sì che le persone lo facciano? Qual è la disponibilità di persone che possono svolgere questo compito al posto di una macchina? Come garantire la qualità anche nei lavori automatizzati? Quali saranno le competenze richieste alla forza lavoro? Tutti interrogativi a cui si cercherà di dare una risposta nei prossimi anni. Intanto non mancano i segnali incoraggianti.
“Se avessi chiesto alla gente cosa voleva, mi avrebbero detto cavalli più veloci” disse Harry Ford agli scettici sul successo delle automobili. I cambiamenti e il progresso tecnologico non si possono cambiare. Si possono invece comprendere e non farsi travolgere anticipando quello che succederà.
Bisogna guardare un po’ più in là e immaginare il futuro. Cosa che può fare solo l’uomo.
L'AI nella lotta contro COVID-19
Mentre il mondo sta affrontando una pandemia globale causata dal virus COVID-19, ogni oncia di innovazione tecnologica e ingegnosità sfruttata per combattere questa pandemia ci porta ad un passo nel progresso scientifico-tecnologico. L'intelligenza artificiale e l'apprendimento automatico stanno svolgendo un ruolo chiave per comprendere e risolvere la crisi sanitaria: i computer consentono di elaborare (si dice machine learning) grandi volumi di dati per identificare rapidamente schemi e verificare intuizioni dei ricercatori. Le aree dove le competenze di machine learning stanno dando i risultati migliori sono: comprendere come si diffonde COVID-19 e confrontare diverse terapie.La tecnologia sta anche giocando un ruolo importante nel supportare la comunicazione e il lavoro in remoto, abilitare la telemedicina, e fare prevenzione. Lo screening senza contatto, ad esempio, è fondamentale.
La startup francese Clevy.io ha usato la tecnologia cloud AWS (Amazon) per creare un chatbot (robot che risponde alle domande in chat) per fornire chiarimenti sulle misure attivate dal governo francese per contrastare il COVID-19. Alimentato da informazioni in tempo reale fornite dal governo di Parigi e dall'Organizzazione mondiale della sanità, il chatbot valuta anche i sintomi riferiti dal paziente. Con quasi 3 milioni di messaggi inviati fino ad oggi, il chatbot della Clevy.io è in grado di rispondere a domande su qualsiasi cosa alleggerendo i centralini delle strutture sanitarie. Le città francesi di Strasburgo, Orléans e Nanterre stanno usando il chatbot per decentralizzare la distribuzione di informazioni accurate e verificate.
L'apprendimento automatico sta inoltre aiutando i ricercatori ad analizzare grandi volumi di dati per definire sistemi atti a prevedere la diffusione di future pandemie e identificare le popolazioni più vulnerabili. La Chan Zuckerberg Biohub in California ha creato un modello per stimare il numero di infezioni COVID-19 che non vengono rilevate e le conseguenze per la salute pubblica in 12 regioni campione scelte in tutto il mondo. Utilizzando l'apprendimento automatico in collaborazione con le tecnologie diagnostiche di AWS (Amazon), hanno sviluppato nuovi metodi per quantificare le infezioni non rilevate, analizzando come il virus si muta mentre si diffonde attraverso la popolazione per dedurre quante trasmissioni sono state perse.
I fornitori di servizi sanitari e i ricercatori si trovano ad affrontare un volume esponenzialmente crescente di informazioni sul coronavirus che difficilmente potrebbero essere considerate da un cervello umano e generare intuizioni. AWS ha lanciato CORD-19 Search, un sito web che sfrutta tecnologie di apprendimento automatico per aiutare i ricercatori a identificare tra i tanti rapporti di ricerca e pubblicazioni scientifiche quelle più pertinenti a una determinata ricerca. La tecnologia è in grado di estrarre informazioni mediche rilevanti da testo non strutturato e offre solide capacità di query in linguaggio naturale, contribuendo ad accelerare il ritmo delle scoperte.
Quelli citati sono alcuni esempi delle numerose attività in corso che impiegano l'intelligenza artificiale nella lotta contro il COVID-19, una delle più promettenti barriere contro questo invisibile nemico.
Paolo Tomassone* e Tijana Kovijanic
*analisi originale di Paolo Tomassone del 2018 aggiornata a Luglio 2020.
L'apprendimento automatico sta inoltre aiutando i ricercatori ad analizzare grandi volumi di dati per definire sistemi atti a prevedere la diffusione di future pandemie e identificare le popolazioni più vulnerabili. La Chan Zuckerberg Biohub in California ha creato un modello per stimare il numero di infezioni COVID-19 che non vengono rilevate e le conseguenze per la salute pubblica in 12 regioni campione scelte in tutto il mondo. Utilizzando l'apprendimento automatico in collaborazione con le tecnologie diagnostiche di AWS (Amazon), hanno sviluppato nuovi metodi per quantificare le infezioni non rilevate, analizzando come il virus si muta mentre si diffonde attraverso la popolazione per dedurre quante trasmissioni sono state perse.
I fornitori di servizi sanitari e i ricercatori si trovano ad affrontare un volume esponenzialmente crescente di informazioni sul coronavirus che difficilmente potrebbero essere considerate da un cervello umano e generare intuizioni. AWS ha lanciato CORD-19 Search, un sito web che sfrutta tecnologie di apprendimento automatico per aiutare i ricercatori a identificare tra i tanti rapporti di ricerca e pubblicazioni scientifiche quelle più pertinenti a una determinata ricerca. La tecnologia è in grado di estrarre informazioni mediche rilevanti da testo non strutturato e offre solide capacità di query in linguaggio naturale, contribuendo ad accelerare il ritmo delle scoperte.
Quelli citati sono alcuni esempi delle numerose attività in corso che impiegano l'intelligenza artificiale nella lotta contro il COVID-19, una delle più promettenti barriere contro questo invisibile nemico.
Paolo Tomassone* e Tijana Kovijanic
*analisi originale di Paolo Tomassone del 2018 aggiornata a Luglio 2020.